Pagina del vangelo: Gv 1,29-34

Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

Ti sarà capitato che, vedendo arrivare un amico, o una persona cara, esclami un “carissimo!” Oppure spalanchi le braccia e fai un bel sorriso, magari ti scappa anche una lacrima per l’emozione. In quel momento sei trasportato dall’onda di ricordi, esperienze, vissuti. Qualcosa di simile deve aver vissuto Giovanni, quando vede Gesù: non lo chiama per nome, ma usa un’immagine, per esprimere tutto ciò che sta vivendo.

  • L’agnello. Il piccolo del gregge, l’ultimo nato, cerca la mamma, chiede tutela e difesa. Il cucciolo di pecora è anche speranza nel futuro, speranza per il pastore, che ingrandisce il suo gregge, speranza per le altre pecore, sempre più numerose, e quindi un po’ più forti.
  • L’agnello di Dio. Colui che è diventato fragilità dell’Onnipotente e piccolezza dell’Altissimo, carne dello Spirito. Giovanni coglie e sintetizza l’incarnazione del Verbo nei suoi due estremi: l’agnello di Dio è la dimostrazione concreta e tangibile che Dio è uno di noi, non solo a Natale, non solo nelle grandi occasioni. L’umano e il divino sono ormai un’unica e inscindibile realtà in Gesù di Nazareth.
  • Colui che toglie il peccato del mondo. Il cosmo è ordine, bellezza, precisione, tutto risponde a un progetto il cui equilibrio desta stupore e meraviglia. In questo ordine interviene un disordine, il caos nel cosmo, il brutto nel bello. L’equilibrio viene smarrito, si cade, ci si fa male, si perde l’orientamento, è buio e non riconosciamo più il volto di chi ci è fratello; in questo disordine anche il volto di Dio è offuscato, la sua voce dispersa tra gli urli e i lamenti, rumori di angoscia e di morte. L’agnello, il piccolo del gregge, riporterà ordine, dal caos al cosmo, dalle tenebre alla luce, Lui ristabilirà quell’equilibrio da tutti desiderato, e darà vita nuova alle nostre morti, gioia nei nostri volti, e Dio sarà il Padre che accoglie. Il debole diventa forte, il piccolo diventa grande. No, non è un incantesimo, e neppure un miracolo. La vita del Figlio è una vita fortemente umana, concreta, pratica, e per togliere il peccato del mondo non pronuncia una formula magica, ma vive fino in fondo la realtà umana, la nostra, mettendosi sotto i piedi di tutti, cosicché quando si ergerà, solleverà anche noi con Lui, portandoci in salvo.

Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele.

Io non lo conoscevo. Inizia sempre così una storia, una relazione, un’amicizia. Ci si incontra, si scoprono affinità e diversità, si costruisce qualcosa, ci si scontra e incontra di nuovo. Pur non conoscendolo, Giovanni battezza, non per convertire gli altri, non per essere un bravo e zelante missionario: Giovanni battezza perché Gesù fosse manifestato a Israele, e quindi anche a lui. Tante volte ci facciamo mille problemi su come fare a credere, a pregare, a sperare. Ebbene, questo proposto da Giovanni è un ottimo punto di partenza: non aver paura di dire “io non lo conosco”, sarà come trovare il bandolo della matassa, e iniziare a creare il gomitolo.

Perché egli fosse manifestato. Questo perché è la chiave dell’equilibrio ritrovato: manifestazione è sinonimo di conoscenza, se conosco posso amare, se amo creo e diffondo bellezza. Giovanni predica e amministra un battesimo di penitenza, con la speranza di aprire i propri e gli altrui occhi, in modo da vedere Colui che riporta ordine e bellezza.

Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.

Giovanni ora non usa più immagini e metafore: l’agnello è il Figlio di Dio, inequivocabilmente Lui, Gesù Cristo, Verbo del Padre, nato da Maria. La non conoscenza diviene conoscenza, manifestazione, visione, testimonianza. Non lo conosco, accetto di non sapere chi sia, mi rassegno a non avere tutte le risposte, tuttavia non rimango fermo ma cammino, mi muovo, finché quel volto senza nome e senza storia diventa un volto amico, un volto amato, un volto che si manifesta, io l’ho visto, l’ho riconosciuto, e ora non posso fare altro che testimoniarlo, con la mia vita sgangherata e inadeguata. Testimoniare significa rendere la mia vita un riflesso della Sua, come i rami degli alberi in inverno, che lasciano passare i raggi del sole: non possono fare altrimenti.

La bellezza viene ristabilita da un agnello, che non teme di non essere riconosciuto; il suo belato riconduce a casa chi è disperso. Gli occhi di Giovanni si aprono e la sua vita rende testimonianza. Il suo perché ha raggiunto la meta, la bellezza è posta nelle tue mani: ora tocca a te.