Le tasse all’imperatore di Roma

Mt 22,15-21


I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.

Dopo aver ascoltato le parabole sul Regno, raccontate da Gesù, i farisei vanno via. Hanno ascoltato il Maestro, ma senza mai abbandonare il loro pensiero, senza uscire da se stessi, ma covando risentimento e disaccordo. Se ne vanno in silenzio, con un piano prestabilito: parlare tra di loro per intrappolare Gesù, e in sostanza, farlo fuori. Questa singola riga di vangelo ci dice come l’ascolto non è sempre positivo, ma può essere contro la stessa persona che ci sta parlando.

I farisei hanno ascoltato le parole di Gesù, e queste parole rimbalzano come l’acqua sulla pietra, infastidendo, generando stress e nervosismo: è il frutto del non ascolto e del rifiuto. Io posso non essere d’accordo con ciò che mi dici, ma prima di esporre il mio punto di vista ti ascolto, ti accolgo, in qualche maniera, e poi potrò dirti la mia; in questo caso no, c’è un rifiuto totale e una condanna che cresce durante l’ascolto. La Parola di Dio “funziona” allo stesso modo: può essere luce, conforto, aiuto, pace, se viene accolta e vissuta, mentre diventa un muro invalicabile se la combatto e la rifiuto.

Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:

I Farisei agiscono nel buio: ascoltano rifiutando e poi usano i loro discepoli (presumibilmente giovani) e gli erodiani, alleati contro Gesù. La stessa cosa succede quando usiamo degli scudi umani: “chiedo per un amico, mio cugino ha detto che…” Perché non sono andati loro stessi da Gesù? Perché sono troppo occupati a difendere il loro punto di vista, ingarbugliati nella loro ristretta opinione, timorosi di dover cambiare idea e rinunciare al loro piano. Il non ascolto, oltre a creare energie negative i noi, coinvolge chi ci è vicino, abusandone e rendendoli amplificatori del nostro malessere.

«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.

Captatio benevolentiae. Chi viene inviato da Gesù fa bene il proprio mestiere, e inizia col cercare di accattivarsi la sua simpatia. Lo fa dicendo cose ovviamente belle e positive, riferendosi in particolar modo alla verità e affermando che il Maestro “non guarda all’apparenza delle persone”, (così riporta il testo originale). Questa lode sperticata, in realtà dice ciò che a loro manca: verità, imparzialità, e Dio stesso.

Se fossero stati veri, avrebbero chiesto al diretto interessato, si sarebbero esposti in prima persona; se fossero stati imparziali non si sarebbero fatti nessun problema, e avrebbero accettato un’opinione diversa dalla loro; se conoscessero Dio e la sua via, sarebbero stati luminosi e accoglienti. Vanno dal Maestro, e pensando di circuirlo con belle parole, dico chi sono loro. È questo il beneficio della Parola di Dio: come un farmaco raggiunge la parte malata, porta pulizia e trasparenza, manifestando l’intimo di chi legge. Il passo successivo sarà accogliere questa grazia, ma non è così scontato che ciò avvenga.

Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

La domanda. Riassumendo: i farisei non ascoltano e scappano, inviano al Maestro altre persone che lo lodano e manifestano se stessi. Ora pongono una domanda apparentemente innocua e neutrale, pensando di non scomodare nessuno, e velocemente mettere a KO il Maestro. Pagare le tasse è pesante per tutti, perché, almeno apparentemente, si paga un servizio che non si vede, e anni di cattiva gestione del denaro pubblico pongono molti nella convinzione che le tasse siano un furto legalizzato, da evitare il più possibile. La domanda fatta a Gesù vuole essere uno sgambetto: pensavano richiamasse a qualche valore spirituale e disincarnato, così da prenderlo subito in fallo, accusandolo di essere un ribelle al potere romano. E invece:

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Li chiama ipocriti, cioè portatori di maschere, finti, bugiardi. Come un bisturi il Maestro incide la loro scorza e taglia corto. Non si perde in grandi discorsi etici e morali, ma, moneta alla mano, chiede di chi sia l’effigie riportata, e quindi di renderla al proprietario. Non dice di dare, ma di rendere, e noi rendiamo ciò che non ci appartiene.

Il Maestro va oltre ai tranelli di questi furbetti, li smaschera, li mette in luce, manifestando la verità della loro povera vita, ma non rimane al loro livello: partendo dalla moneta di Cesare, richiama ognuno a riscoprire in se stesso l’immagine di Dio, forse un’immagine deturpata, coperta, incrostata, eppure un’immagine indelebilmente impressa nel DNA di ogni persona.

Rendere a Dio quello che è di Dio è la tua vocazione. Scoprendo in ogni tua cellula il volto di Colui che ti ha voluto e creato, potrai vivere pienamente chi tu sei: non una maschera, non uno strumento in mani d’altri, ma il vero te stesso, col tuo carattere, con i tuoi tratti somatici, col tuo modo di fare e i tuoi gusti. Rendere a Dio sarà una conseguenza di chi tu sei, di chi tu hai scoperto di essere, leggendo in te stesso il volto del Signore: tu sei suo figlio amato.