Pace è il frutto del Risorto con le ferite
Gesù appare ai discepoli
Gv 20,19-31
La sera di quel giorno venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Il giorno è quello della resurrezione, o meglio la sera. Siamo chiusi in casa, e non si sa se c’è più dolore per il vicinissimo passato o più paura per il futuro che ci attende. Le porte sono ben chiuse, siamo a rischio, e se ci trovano è la fine anche per noi. In un ambiente simile, tre verbi rassicurano i discepoli, ma anche tu che leggi, e chiunque ascolta e riceve la parola santa del vangelo: Venne, stette, disse.
- Venne. Questo verbo riporta all’incarnazione: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Questo è il verbo che dice la vocazione del Figlio di Dio, il Veniente, Colui che cerca sempre nuove strade per raggiungerti e fare comunione con te.
- Stette. Questo è il verbo della resurrezione: si trova solo negli ultimi due capitoli del vangelo di Giovanni. Sta chi ha compiuto un viaggio, si può fermare, e gioisce di questo fermarsi: Gesù risorto sta, non in un egoistico divano, con tutti i comfort, ma in mezzo ai suoi. Stare in mezzo è spesso identificato come stare al centro dell’attenzione. In realtà stare in mezzo è un luogo molto scomodo: sei guardato da tutti ma non puoi guardare tutti, non puoi farti da parte, sei esposto a 360 gradi.
- Disse. La Parola non può che esprimersi e comunicare. Questo è il verbo che accompagna ogni istante della vita del Signore, non perché fosse un parolaio, tutt’altro, ma perché la sua è Parola che salva, e come tale viene offerta.
Disse “Pace”, proprio ciò che manca a questo gruppo di persone sconvolte, proprio ciò che manca oggi, una pace non solo annunciata ma realizzata concretamente, e Gesù mostra i luoghi della pace: le mani bucate e il costato trafitto. Come a Betlemme Dio si è fatto bambino per essere avvicinato da tutti senza timore, dopo la croce e la morte, Dio si mostra vivo, ma non solo: offre alla vista le sue ferite, prezzo della pace che ti è donata, costo del tuo riscatto.
La resurrezione di Gesù è una resurrezione ferita, che si è resa vulnerabile per poter essere l’esperienza di chiunque; tutti siamo feriti e tutti sentiamo una profonda necessità di essere salvati, da noi stessi, dal caso, dal nulla. Gesù risorto e ferito ti viene incontro non solo per salvarti, ma per offrirti un’esperienza di resurrezione, e proprio le tue ferite insieme alle sue, sono la via che permette tale esperienza.
I discepoli gioirono al vedere il Signore. Gioia, grazia, rallegrarsi, eucaristia hanno origine dallo stesso verbo greco, il verbo dell’annunciazione: Rallégrati, piena di grazia (Lc 1,28). I discepoli quella sera con Gesù hanno celebrato la gioia della Pasqua attorno all’altare che è Gesù stesso in mezzo a loro. Venne, stette, disse, mostrò le ferite, gioirono; questi sono gli elementi di ogni preghiera, a maggior ragione dell’Eucaristia: desiderio di comunione, ascolto della Parola, stare alla presenza di Dio, mostrare le proprie ferite, celebrare la presenza del Signore. La pagina del vangelo potrebbe finire così, e invece no…
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gesù non è sazio della propria resurrezione: desidera che ogni suo amico viva questa esperienza di vita nuova di vita che ritorna, e solo lo Spirito può compiere questa nuova creazione. Il soffio di Gesù apre l’orizzonte e rianima il cuore dei suoi amici, affidando loro una missione umanamente impossibile, ma il Figlio di Dio ha già tracciato la strada. Lui, inviato dal Padre per essere la pace e il perdono, ti affida la sua stessa missione: essere pace e perdono, prima di tutto dentro di noi, per noi stessi, accettando e volendo bene a se stessi, perdonando i propri limiti e difetti, e poi sarà una conseguenza essere pace e perdono per chiunque incontriamo. Le ferite del Risorto diventano le ferite di ogni uomo e donna, bisognose di cura, di tutela, di pace e perdono.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Non è questa di Tommaso l’esperienza che tu stesso fai quando vorresti essere coinvolto e non lo sei? Assolutamente non ti accontenti di racconti, né di cronache dettagliate: esigi lo stesso trattamento degli altri, perché la gioia, quella vera, non è fotocopiabile. E qual è il SE posto da Tommaso? Vedere e toccare le mani e il costato, immergersi nelle ferite del Maestro. Le comunità cristiane non funzionano se non innescano questo desiderio! Il battesimo rimane un atto formale se non provoca nel cristiano questa sete, questo imperativo esperienziale, un imperativo che Tommaso non sottace, ma anzi proclama chiaramente, di modo che tutta la comunità possa udire bene come lui la pensa. Gesù Cristo non è una nozione da imparare, non è una tradizione da ripetere, non è una formula magica e neppure un’idea: è persona con la quale relazionarsi, credere, vivere, amare: come posso accontentarmi di un passaparola?!
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù (…) Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Accontentato. Ci avrà pensato chissà quante volte in quegli otto giorni, Tommaso, forse non è tornato sull’argomento con gli altri, ma il suo pensiero, il suo cuore era lì. Gesù torna, le porte sono ancora sprangate, segno che la paura non ha ancora abbandonato i discepoli (paura e fede coesistono, non fidatevi di chi propone una fede che risolve tutti i problemi). In questa paura giunge Gesù, e come otto giorni prima sta in mezzo, dona pace, e concede a Tommaso l’esperienza delle ferite. Vieni Tommaso, tu, ferito doppiamente dalla paura e dall’assenza, vieni a fare esperienza del Risorto ferito, guarda, toccale queste ferite; e questa comunione che ti offro non è una concessione, e neppure è il tuo SE al credere, ma il mio SÌ alla tua gioia.
Gesù stesso ha desiderato incontrare Tommaso, anche a Lui è mancato quella sera, e ora lo esorta, quasi lo supplica: “non essere incredulo, ma credente”. Non è un rimprovero, ma un dono: Tommaso, come gli altri, scava nelle ferite di Gesù risorto e trova se stesso, il vero volto di Tommaso, senza maschere e fingimenti. È sempre così: Dio trova modo e tempo perché tu possa incontrarlo, senza se, ma con le tue ferite che parlano con le sue ferite, si riconoscono, anche loro fanno comunione, diventando guarigione reciproca.
Resurrezione è fare memoria delle ferite proprie e altrui, è metterle in dialogo, è incontrare Gesù vivo oggi. Pace è già il frutto di Pasqua che ti viene offerto.
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