Discesa e salita
Oggi la Chiesa (e quindi tutti noi) celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, che quest’anno cade di domenica. Questa festa è originata dal ritrovamento della Croce di Gesù da parte di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, ritrovamento che avvenne nel 320 durante un pellegrinaggio in Terra Santa, in circostanze miracolose.
La pagina di vangelo di oggi disegna una strada tra il cielo e la terra e viceversa. Strada che è stata percorsa nei due sensi di marcia da Gesù e che ci manifesta la legge dell’incarnazione: non sali se non scendi, proprio come ha fatto il Signore. La discesa è il biglietto per la risalita, non per un discorso di meriti (saremo davvero messi male, tutti), ma per assicurare che io e tu abbiamo vissuto fino in fondo e senza sconti tutta la nostra amata/odiata umanità, con tutto ciò che ne consegue.
Gesù è maestro di umanità. Lui “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Lo svuotamento di Gesù è la sua discesa, cioè la sua incarnazione. E’ questo l’evento unico che ha aperto la circolazione di quella Via, anzi: Lui stesso si è autodefinito “Via, Verità e Vita).
L’innalzamento di cui parla il Vangelo, è un paradosso, perché si tratta di dolore, croce e morte del Figlio di Dio. Tuttavia è un innalzamento. Gesù viene fisicamente innalzato sulla croce, ma non solo: la sua offerta, la sua vita donata innalza tutta l’umanità verso Dio, creando con Dio una comunione profonda e incancellabile.
Tornando a Sant’Elena e alla sua “scoperta”, e rileggendo il brano del vangelo, possiamo cogliere il messaggio per questa domenica: riscoprire lo spessore dell’offerta di Gesù, visibile a noi nella sua morte di croce. La santa si mise in pellegrinaggio: anche noi compiamo questo pellegrinaggio nella nostra vita, e quando troviamo una croce, piccola o grande che sia, abbracciamola, baciamola, riconciliamoci con essa; il pellegrinaggio prosegue nelle vite altrui: altre croci da baciare ed abbracciare, da consolare. Convinciamoci che la sofferenza non è fine a se stessa. Rimane un duro mistero, il mistero del male, ma se questo male non ce lo teniamo stretto stretto ma lo uniamo al male vissuto da Gesù, esso diventa la nostra salvezza, la nostra felicità, e non solo in Paradiso: “chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Se rimango chiuso in me stesso, vado perduto, sprecato, se tendo la mia mano e afferro quella di Cristo, allora entro in un circolo di amore e di salvezza. La croce rimarrà un evento doloroso, ma salvifico, proprio come una medicina, amara, ma salutare.
Augurandoti una buona domenica, desidero concludere con un testo a me molto caro, una poesia di un sacerdote gesuita:
Il mio penare è una chiavina d’oro…
piccola, ma che m’apre un gran tesoro.
E’ croce, ma è la croce di Gesù:
quando l’abbraccio non la sento più.
Non ho contato i giorni del dolore,
so che Gesù li ha scritti tutti nel suo cuore.
Vivo momento per momento, e allora
il giorno passa come fosse un’ora.
Mi han detto che, guardata dal di là,
la vita tutta un attimo parrà.
Passa la vita, vigilia di festa…
muore la morte… il Paradiso resta.
Due stille ancora dell’amaro pianto,
e di vittoria poi l’eterno canto.
P. Giovanni Bigazzi s.j.
Lascia un commento