Gesù a Gerusalemme

Mt 21,1-11

Questa pagina di vangelo presenta quattro punti di vista della stessa scena. Quattro protagonisti per un unico evento. Anche tu che leggi sei chiamato a vivere un ruolo, un atteggiamento. Puoi provare a essere Gesù, i discepoli, la folla, la città…. ogni ambito ti darà prospettive e contenuti diversi. Non avere paura, andiamo!

Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”».

Gesù. Come sempre, Dio ha bisogno, Dio vuole avere bisogno. Ogni pagina di Bibbia ci mostra Dio che cerca l’uomo, che stringe alleanze, che chiede collaborazione, un Dio che non ha né scettro né bacchetta magica, ma mani tese e cuore accogliente. Alle porte di Gerusalemme il Figlio di Dio chiede l’aiuto di due discepoli, un aiuto di fondamentale importanza, ed è questa la giustificazione da dare ai proprietari degli animali: “il Signore ne ha bisogno”: un bisogno assoluto e irrinunciabile, ci dice il testo greco, non può farne a meno. Interessante che ai discepoli diventati apostoli venga detto di andare in un villaggio, cercare, trovare, slegare e condurre da Gesù e poi riconsegnare: non è proprio questo ciò che Gesù ha fatto nella sua vita? Con l’incarnazione è entrato nel villaggio di fronte, il mondo, ha cercato noi, sue creature, ci ha trovati, eravamo legati e prigionieri, ci ha liberati e riconsegnati a noi stessi attraverso la sua Parola che libera, e poi è tornato al Padre.

Gesù prima di entrare a Gerusalemme ha bisogno. Tra le acclamazioni gloriose, tra i canti e le danze in suo onore, Gesù rimane come sempre, in questo atteggiamento di servo, cavalcando un asino, chiedendo una mano, tacendo.

I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.

I discepoli (cioè coloro che imparano), divengono apostoli, (coloro che sono inviati), vivono, in qualche maniera, un rito di passaggio. L’atteggiamento dei discepoli è una totale disponibilità: andarono e fecero, in perfetto silenzio, senza obiettare nulla, senza anteporre un loro pensiero, ma accogliendo in purezza quanto il Maestro richiede loro. In epoca di leoni da tastiera, questo è un meraviglioso atteggiamento di silenzio che custodisce il mistero. Non solo: i discepoli non si accontentano di eseguire fedelmente quanto detto da Gesù: infatti mettono i loro mantelli sugli animali, e Gesù si siede su di essi. Il mantello, nella cultura dell’epoca, aveva una forte simbologia; i discepoli divenuti apostoli si privano dei loro mantelli, e quindi si espongono al freddo, alle intemperie, ma non solo: queste persone si spogliano della loro autorità, del loro ruolo sociale, indicato dal mantello, per onorare il Maestro. Il mantello è la propria vita donata, non più semplice ascolto del Maestro, ma offerta totale di se stessi al Re e Signore.

La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».

La folla. Apparentemente potrebbe sembrare lo stesso gesto fatto dai discepoli, ma il testo originale usa due verbi diversi: mentre i discepoli mettono, poggiano i loro mantelli sugli animali, la folla stende, sparge mantelli e rami sulla strada. Questi verbi dicono due atteggiamenti diversi: mentre i discepoli offrono se stessi, tutta la loro vita, con un gesto semplice e dimesso, la folla usa i propri mantelli come oggetto d’arredo, per ostentare se stessa e ricordare al Messia in quale città sta entrando: una città importante! I rami tagliati e agitati sono tutta una messa in scena, per animare un momento di festa, insieme agli “Osanna” e i “Benedetto”.

  • Osanna: è un grido di gioia, ma in realtà contiene un’invocazione: salvaci!
  • Benedetto: dire bene, accogliere favorevolmente, elogiare.

Sappiamo bene quanto dureranno queste invocazioni e queste acclamazioni, e come gli osanna diventeranno un “crocifiggilo”. La folla non vede il re che entra a Gerusalemme, o meglio non lo riconosce. Essa vede solo se stessa, i propri bisogni primari, alza il volume delle grida solo per zittire il proprio estremo bisogno di salvezza. Chiede salvezza, è vero, ma non ci crede. Stende i suoi mantelli, agita i suoi rami, ma non offre niente, se non un momento di coreografia, una festa che finisce presto, prestissimo, lasciandola in balìa di se stessa, come ieri.

Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

La città. Possiamo pensare che folla e città sia la stessa cosa, ma anche qui ci sono dei distinguo: mentre la folla è quella che si riversa sulla strada, e in qualche modo è partecipe dell’evento, la città sono persone non visibili, chiuse tra le loro fredde mura, la città non ha volto, non ha voce, non ha anima. Questa città tuttavia vive un’agitazione così forte che il testo greco usa il verbo del terremoto: la città trema, è scossa profondamente, e in questa situazione fa una domanda ben precisa: Chi è? Chi è che minaccia la mia stabilità? Chi è che scuote le mie antiche e forti mura? La città agitata chiede, e a rispondere è la folla, che mentre vive una messa in scena riesce anche a trovare un’epidermica risposta: è il profeta Gesù, ma è una risposta che non convince la città, e tanto meno la folla. Finita questa sorta di carnevale sarà tutto come prima, eppure l’agitazione permane: chi è costui?

Gesù ha bisogno, i discepoli offrono tutta la loro vita, la folla recita una parte, la città trema. Tu che fai?