Soli o in compagnia, il prato più bello che ci sia
Gesù moltiplica i pani e i pesci
Mt 14,13-21
Avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Dall’eremo alla piazza. Il percorso che Gesù mette in atto, nasce da un grande dolore: l’uccisione di Giovanni il Battista, suo cugino e testimone. Quando ti raggiunge una brutta notizia o stai vivendo un periodo difficile, hai bisogno di stare solo, per metabolizzare e digerire quel dolore. In greco il luogo deserto è l’eremo, che ormai ha assunto il significato del luogo isolato per dedicarsi alla preghiera e all’introspezione. Il desiderio di Gesù è di pregare, per non soffrire invano, per dare un volto e un nome a quel dolore. L’eremo è il luogo dell’incontro con se stessi e con la verità; in un contesto di questo tipo Dio non può che essere presente, e inizia un dialogo tra me e Lui, per capire, o meglio ancora: per accogliere, per vivere ogni situazione alla luce degli occhi di Dio, e con Dio fare pace, dentro e fuori di me.
Questo desiderio di solitudine e di preghiera viene deviato da un altro desiderio: quello della folla che lo raggiunge a piedi, una folla assetata e stanca. Gesù non annulla il suo desiderio di solitudine, ma lo vive in modo diverso, provando compassione, cioè vivendo un dolore per il dolore altrui; questo dolore diventa una forza propulsiva che lo muove e lo anima, tanto da fargli cambiare programma. Gesù invece di pregare da solo, guarisce i malati: prega cioè il Padre per loro, vive il dono di se stesso. È cambiata la modalità, ma l’atteggiamento è lo stesso, e anche in mezzo a questa grande folla, Gesù vive la sua relazione e il suo dialogo con il Padre.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
Troppo tardi per l’eremo. troppo tardi per la piazza. Ormai il sole sta tramontando, non è più il momento di pensare a un giorno di ritiro in eremo; pazienza, sarà per un’altra volta. Non solo, è anche troppo tardi per la folla, non è più il momento di intrattenersi con essa. Sembra di veder cadere un castello di carte, e l’unica scelta possibile è la resa, la rinuncia, il fallimento.
Davanti a un problema, quasi sempre vorremmo farci piccoli e scomparire, per soffrire il meno possibile, per evitare l’impatto, per morire. Sì, la morte a volte appare come evento liberante, come l’unica soluzione, ma come sempre c’è un però: noi siamo chiamati alla vita, e questa vocazione risuona lungo tutto il tempo della nostra esistenza, ogni nostra cellula risuona di questa voce che chiama, e che dà alla luce, una luce che sfolgora anche nella notte più buia della tua storia e ti conduce sulle rive di una nuova possibilità.
Gesù non si arrende e prosegue seguendo il suo desiderio: “non occorre che vadano”, e la preghiera diventa compassione, la compassione diventa dono. Quel poco cibo è tutto ciò che serve per evitare il fallimento, ma non solo: è la modalità che Dio mette in atto per fare grandi cose con piccoli strumenti. Spesso usiamo la nostra povertà e piccolezza come scusa per non essere coinvolti. Dio invece ti cerca proprio così come sei: povero e piccolo, perché a Lui interessi tu, non ciò che fai, non ciò che hai.
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Un comodo prato. Ci si siede a tavola per il pasto quando tutto è pronto, e nell’aria c’è uno squisito profumo di prelibatezze. Qui c’è solo un prato e una enorme folla affamata. Eppure tutti si siedono, si adagiano, dice il testo greco, pronti a sperimentare la loro mancanza di risorse ma anche la provvidenza di Dio. Questo è il verbo utilizzato a Betlemme, quando Maria adagiò il Verbo fatto carne in quella mangiatoia (Lc 2,7). Anche quella volta Maria era povera e piccola, come te, lo stesso Figlio di Dio era un frugoletto che piangeva: la fiducia è la materia prima dell’incarnazione, la fiducia rende Dio uno di noi, la fiducia è la carta vincente quando tutto va a rotoli, quando le tue mani stringono l’aria perchè non possono fare altro.
Un pasto che viene donato attraverso tante mani. Gesù benedice e spezza il pane, lo dà ai discepoli e i discepoli alla folla. Oltre all’elemento logistico (una folla così grande non può mettersi in fila e ricevere il cibo da una sola persona), possiamo notare l’attenzione e la sensibilità del Signore, che non vuole umiliare questa gente dando loro quanto è necessario, ma preferisce quasi stare in disparte (il desiderio iniziale ritorna sempre!), e consolare quella folla. Gesù chiede ai discepoli di donare loro quel pane, loro che erano decisi a congedare la folla a stomaco vuoto, diventando essi stessi canali della provvidenza e della vicinanza di Dio.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Save the planet: non sprecare cibo, Non è solo una regola di buon senso civico ed economico: è fare tesoro di quanto è stato ricevuto, è custodire quel tozzo di pane avanzato per riportare al cuore (e quindi ricordare) come Dio mi ha soccorso mille e mille volte, e la sua compassione non è mai venuta meno.
Ormai il bigliettino è quasi una tradizione: prova a scrivere (o a disegnare) la tua notte più buia, magari ci sei in mezzo a quella notte, non aver paura, scrivi ciò che vivi, guarda in faccia la realtà. Guarda anche un altro Volto: quello di Dio, il compassionevole, Colui che ti adagia sul prato della vita perché tu possa fiorire e rifiorire svariate volte, vivendo il marcire del seme, la nascita del germoglio, il fiorire colorato e profumato, l’appassimento e la stagione buona, che ti rivedrà bello, come Dio ti ha creato e ti desidera. Il suo nutrimento ti darà la forza necessaria per essere pienamente te stesso, e la tua vita sarà la Sua in te.
Lascia un commento