Dal Vangelo secondo Luca

(Lc 6,39-45)

In questa pagina di vangelo sono contenute, apparentemente, quattro parabole. L’evangelista però ci dice altro: “Gesù disse ai suoi discepoli una parabola”, una sola, dunque, in quattro quadretti che la illustrano. Leggendo ho pensato di chiamarla la parabola della relazione, perché in tre di quelle situazioni ci sono persone che si relazionano (i due ciechi, il maestro e il discepolo, i due fratelli); nel quarto quadretto ci sono alberi che producono frutti coerenti alla loro natura, e anche in questo caso c’è una relazione.

Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?

Per quanto bene si vogliano questi due ciechi, quando è l’ora di camminare uno non sarà di aiuto all’altro e finiranno certamente col farsi male a vicenda. Non perché non si vogliano bene, ma perché entrambi non ci vedono: non è mancanza di volontà ma un dato oggettivo.

Gesù insegna: infatti sta parlando ai suoi discepoli, e lo fa ponendo domande e non offrendo risposte che nessuno ha richiesto. Gesù vuole il tuo parere, non ti dà un pane appena sfornato pronto da mangiare: ti dice che per fare il pane c’è bisogno della farina, dell’acqua, del lievito madre, poi ti aiuta a prepararlo. Pensa con quale soddisfazione addenterai quel pane, il tuo pane! Questo è l’atteggiamento da avere davanti alla Parola di Dio: impegno, lavoro, ricerca, preghiera, raggiungimento di un risultato, applicazione pratica nella mia vita.

Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.

Un’altra relazione, questa volta più stabile e sicura, a patto che ognuno faccia il suo, e con una meravigliosa apertura: il maestro insegna, il discepolo impara, e questo insegnamento permetterà al discepolo di essere lui stesso maestro. Troppo spesso si identifica chi insegna con una persona che ha capito tutto, che sa tutto e che dall’alto della sua cultura insegna. In realtà ogni maestro è stato discepolo e discepolo rimarrà sempre: la vecchietta di cent’anni non voleva morire perché aveva ancora cose da imparare…

Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? 

Un’altra relazione male impostata che porterà al fallimento. Il non avere consapevolezza di sé stessi e dei propri limiti ci acceca, come una trave in un occhio. Pensiamo alla sproporzione che c’è tra un occhio e una trave: Gesù usa quest’immagine per farci comprendere come spesso siamo inconsapevoli di chi siamo, di come siamo. Non solo siamo ciechi che guidiamo un altro cieco, ma abbiamo la presunzione di guarirlo. Anche in questo caso Gesù ci pone una domanda: come puoi? Il potere è dato da una possibilità oggettiva. Essere alienati da se stessi porta a vivere una vita fuori di sé, in un vortice che sfigura sempre di più il volto della propria identità.

Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

Gesù oltre che maestro è anche medico e ti propone una diagnosi e una cura. La diagnosi è molto grave: ipocrisia, cioè vivere con una maschera, non essere se stessi, appunto. La cura: semplicemente togli la trave, questa maschera così pesante che deturpa la tua identità, che disperde il tesoro della tua unicità per vivere vite che non sono tue, vite che non esistono, e quindi è una maschera di morte. La bellezza di questo messaggio: per Gesù non si è mai persi per sempre, c’è una possibilità di miglioramento per ciascuno. Siamo noi invece che escludiamo, squalifichino, condanniamo e timbriamo con un “ormai” così poco cristiano, così poco umano. Una volta tolta la trave, potrai aiutare te stesso a vivere la tua vita, e questo andrà anche a beneficio delle pagliuzze altrui.

Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 

Quarto quadretto dell’unica parabola: la coerenza della natura ci insegna come essere pienamente se stessi. Alberi buoni e alberi cattivi: ogni albero si riconosce dal suo frutto, non dalla sua apparenza. Il frutto è la prova provata dell’identità di un albero. Le maschere sono sterili e portano alla morte (e non intendo quelle di carnevale). I rovi e gli spini oltre a non portare frutto, feriscono: proprio come la maschera ti deturpa allontanandoti da te stesso, dagli altri, da Dio.

Anche qui c’è una bella notizia: la scienza e la tecnica botanica hanno inventato l’innesto, un albero cattivo che diventa buono, non per sua capacità ma per dono (per-dono deriva proprio da qui). E il dono arriva da un albero buono, buonissimo, l’albero della croce del Signore. Innestati in Lui possiamo portare frutti buoni e squisiti, senza di Lui potremmo produrre ottime corone di spine per le nostre teste e per quelle degli altri. Questo dono è da scartare, accogliere, assimilare, vivere, perché a Dio non piacciono le cose precotte.

L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda

I due ciechi, il maestro e il discepolo, i due fratelli, gli alberi buoni e cattivi: la parabola con i suoi quattro quadretti confluisce in quest’ultima immagine: ogni uomo ha il suo tesoro, buono o cattivo che sia, e in base a esso realizza, trae fuori il bene o il male. La sede di questo tesoro, ci dice il Signore, è il cuore, inteso come la sede dei sentimenti, positivi o negativi che siano.

Gollum (il tizio in foto) ha dedicato tutta la sua esistenza al suo tesoro, anima mente e corpo sono state plasmate da quell’anello: ricerca spasmodica, desiderio irrefrenabile, ansie, dolori, tutto è orientato a quel tesoro. Tutto il resto è una conseguenza di questa scelta, che i teologi moralisti chiamano “imperativo categorico”: un imperativo che ordina e orienta tutta l’esistenza di una persona.

La parabola si conclude con una parete a specchio: ci sei tu e il tuo tesoro. Gesù si eclissa e lascia a te il primo piano, come un selfie. Chi vedi? Chi vuoi vedere? Hai la diagnosi e la cura, hai un maestro e un medico, ascoltalo, accoglilo, amalo. Sarai ascoltato, accolto, amato.