Non temere, soltanto abbi fede
(Mc 5,21-43)

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla. Gesù è in piena attività missionaria, sulla riva occidentale del lago di Tiberiade, che all’epoca era chiamato Mare di Galilea, per la sua ampiezza. Sappiamo bene che il Vangelo in particolare, e le Sacre Scritture in generale, non danno dettagli se non strettamente necessari. In questo caso Gesù viene collocato geograficamente (sul lago di Tiberiade) e socialmente (in mezzo a tanta folla).

Ed egli stava lungo il mare. Il mare è per la Bibbia il luogo del peccato: Gesù sta sulle rive del limite umano, della miseria, sia essa fisica, morale o spirituale. Gesù vive profondamente questo mare umano, lo fa suo, si carica di tutto ciò che può essere negativo. Lo fa per salvare l’uomo? Sì, certo, ma non solo: lo fa per amore. Tu, mamma che vegli il figliolo con la febbre, lo fai perché possa guarire e stare bene, o non anche perché il tuo amore per lui non ti fa dormire? È un dolce tormento che non ti fa chiudere occhio, non importa quanto tu possa essere stanca e sfinita: l’amore è più grande. Ecco, la stessa cosa dice Dio a te, adesso.

«La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Giairo sembra quasi che progetta un piano d’attacco, per risolvere la situazione. Presenta a Gesù la gravissima situazione della figlia, gli propone la soluzione dicendo di imporgli le mani (cioè pregare per lei) e gli prospetta anche la conclusione. Spesso davanti a un problema ci disperiamo, cediamo il passo all’ansia, ci facciamo bloccare dalla paura, talvolta da crisi di panico. Anche per Giairo non dev’essere stato facile, certamente, però si lascia guidare solo dalla certezza che Dio è presente, che Dio interverrà col suo amore. Ecco il segreto per non smarrirci nelle prove della vita.

Andò con lui. Potrebbe essere il titolo di tutta l’opera di Dio a favore dell’uomo, delle sue creature. Gesù si lascia condurre, lungo i sentieri contorti della nostra umanità, prende parte al nostro dolore, beve ai calici amari che la vita ci offre. In queste tre parole cogliamo tutto il cuore di Dio che si fa prossimo, vicino, partecipe.

Una donna toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito fu guarita dal male. Mentre Gesù segue Giairo, una donna si lascia guidare, anche lei come Giairo, dalla fede, dalla speranza certa che il Signore non l’avrebbe delusa. Lei aveva tentato tutte le cure possibili e immaginabili, aveva investito energie, risorse, denaro, anni di vita, giorni di malessere continuo, e come se tutto ciò non bastasse, era considerata dalla sua società, impura, proprio per via di questo flusso di sangue continuo. Eppure tutti questi tentativi di cura avevano peggiorato la sua situazione. Immaginiamo lo sconforto di questa donna, le sue lacrime. Anche lei avrà gridato il suo “basta!”, il suo “perché”.

Tuttavia non si ferma, e nel cuore nasce questa certezza che la fa rialzare dalle macerie di questi dodici anni; dodici appunto, numero che indica la pienezza, il compimento di un’epoca (la donna era al massimo della sopportazione e non aveva più possibili soluzioni al suo problema), e l’elezione, la scelta del Signore: ad esempio le 12 tribù d’Israele, i 12 apostoli: questa donna è l’icona di tutto il genere umano, di ogni tempo, scelto da Dio, amato da sempre e per sempre.

Dodici anni di dolore, ma anche dodici anni di amore, di dedizione, di scelta e di vicinanza da parte di Dio. La donna tocca il mantello di Gesù, tocca la sua fisicità, ma non si ferma: il mantello nella Bibbia indica la persona, la sua essenza profonda. Questa donna tocca l’anima di Gesù, il suo cuore, ricevendone guarigione.

Gesù si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Toccare l’anima di una persona non può passare inosservato, né al diretto interessato, né tanto meno a chi ha steso la mano: entrambe vivono qualcosa di così unico che ne rimangono come sconvolti. Il dinamismo di questo brano ora si blocca, come un fermo immagine: tutta la confusione della folla sfuma, e lascia il primissimo piano a Gesù e alla donna. La donna è molto scossa, e come non esserlo dopo aver toccato l’anima di Dio! Come non esserlo dopo una guarigione, dopo tanti anni di dolore?

La donna ormai guarita rimane impaurita e tremante. Si sarà chiesta: “ma sarà proprio vero? È successo proprio a me?” Paura di ripiombare nel dolore, nell’impurità, nella morte. Questa paura diventa adorazione: la donna si prostra ai piedi di Gesù (come aveva fatto Giairo): l’esperienza del proprio limite ci dà ginocchia per adorare, e occhi per riconoscere il Signore e la sua presenza. Dio è amore, Dio è vicino.

Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». La donna non si è sbagliata, è davvero guarita, risanata, liberata! Se al contatto con il mantello, con l’anima di Gesù essa fu guarita dal male”, ora Gesù la guarisce dal suo male: la prima guarigione risana la donna dalla malattia, la seconda guarigione la rende libera dalla paura, spezza le catene che la tenevano schiava, ricostruisce in lei il volto gioioso della salvezza, di chi trova in Dio la sua forza, e in se stesso la determinazione di seguire il Signore. Non avere più paura, va’ in pace, sii nella pace.

A Gesù non interessano le bacchette magiche, i miracoli e gli incantesimi. A Lui interessi tu, tutto te stesso, così come sei, qui ed ora. E tutto il suo operato è in funzione di quel tu, un tu libero, sereno, sano, luminoso. Ecco la salvezza!

Questo toccare l’anima di Gesù ha reso quella donna figlia sua, generata e rigenerata dalle sue viscere di misericordia; d’ora in poi la sua vita non sarà più la stessa, perché la guarigione fisica è fonte di una gioia sicuramente immensa, tuttavia essa è quasi una scusa per una guarigione più profonda e totale, che coinvolge e sconvolge ogni particella del suo corpo, della sua mente, del suo cuore.

Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Siamo alle solite: la vita è già così dura, e spesso avere uno spiraglio di fede e di speranza ci costa sangue, ma c’è sempre qualcuno, la folla che ci circonda, che ci distoglie, che spegne ogni attesa, ogni desiderio. Certamente, la folla lo fa per il nostro bene! Non disturbare il Maestro! Quanto è ambigua questa folla che vorrebbe distogliere questo papà dal suo atto di fede così bello, che lo dissuade dalla sua adorazione e lo inchioda alla più nera delle realtà: tua figlia è morta. C’è un assurdo incolmabile tra la morte della propria figlia e la paura falsa di disturbare. Mi si spacca il mondo sotto i piedi e io temo di disturbare?! Quanto è irrazionale questa folla, quanto non vive il dolore di Giairo!

Gesù, udito quanto dicevano, disse: «Non temere, soltanto abbi fede!». Questo puzzo di morte e di disperazione che proviene dalla casa, non ferma il cammino di Gesù e di Giairo. Questo papà viene anche lui, come la donna, guarito e liberato dalla paura. Spesso pensiamo che nel cammino di fede noi dobbiamo avere fede, non dobbiamo avere paura, noi dobbiamo vivere le virtù, noi dobbiamo, dobbiamo, dobbiamo, come se tutto dipendesse da noi, come se noi ne fossimo capaci. Invece il vangelo ci fa vedere Gesù che viene verso di noi con dei doni, delle caramelle che addolciscono un po’ il cammino. Giairo riuscirà a fare entrare Gesù nella sua casa non per la sua bravura, ma grazie a questa guarigione che Gesù gli regala, una guarigione neppure chiesta!

Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. L’atteggiamento della folla non cambia, anzi peggiora. Se prima falsamente non volevano disturbare il Maestro, ora lo deridono. Usano tutte le armi a disposizione per non accettare un cambiamento, per non uscire dalla tomba della loro vita, che vita non è. Immaginiamo che fatica deve aver fatto Giairo lungo il cammino, dalla riva del lago, fino a casa sua. Quel cammino e quella fatica non sono inutili: hanno preparato il suo cuore alla guarigione, lo hanno liberato dalla paura, dal rispetto umano. Ora sulla soglia di casa, Giairo non parla più, ma si aggrappa alle parole del Maestro: “abbi fede!”. Giairo è già rinato nella fede, succeda quel che succeda, anche lui non è più lo stesso.

Gesù, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Il vangelo usa lo stesso verbo negli episodi di esorcismi operati da Gesù. Tutto ciò che ci allontana dalla fede e da Gesù è diabolico, senza mezzi termini. Gesù caccia la folla dalla casa: dopo una prima guarigione segue una liberazione. Tutto ciò che Gesù opera porta a un cambiamento senza ritorno, in noi e intorno a noi. Gesù che entra nella stanza della bambina malata è ancora un’altra immagine dell’incarnazione. Il Figlio di Dio si fa uomo per entrare in quella camera, per incontrare ogni uomo e ogni donna, per essere vicino a ogni dolore, non solo vicino, ma immedesimato in ogni sofferenza, in ogni fremito dell’animo umano: non c’è nessuno che ami l’essere umano quanto Lui, nessuno!

Entrando porta con sé il papà e la mamma della bimba, oltre ai tre che erano con Lui. Gesù non è mai solo nella nostra vita. C’è sempre un amico, un fratello, qualcuno che ci prende per mano e che ce la stringe forte in quei momenti così forti, quando ti senti sprofondare, e sai che non ce la potresti fare da solo. Il papà, la mamma di questa bambina, Pietro, Giacomo e Giovanni sono coloro che Gesù prende con sé, prende-con, comprende: ecco l’empatia, ecco la vicinanza, ecco l’immedesimazione!

Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». San Cirillo d’Alessandria scrive: “Dicendole «Fanciulla, alzati!», la prese per mano. In quanto Dio, le ha dato la vita con un comando onnipotente, e le ha dato la vita anche mediante il contatto della sua carne santa, testimoniando così che, nel suo corpo come nella sua parola, operava una medesima potenza divina”.

Se prima è stata la donna a toccare Gesù e a riceverne guarigione, ora è Gesù che tocca la bambina per donarle nuova vita. Penso sia naturale pensare al famoso affresco “la Creazione di Adamo” di Michelangelo Buonarroti, nella volta della Cappella Sistina. Questa bambina viene ricreata dalla mano del Maestro, anche lei fa la medesima esperienza della donna: tocca l’essenza di Gesù e da essa non solo è guarita, ma rinata, ricreata. Àlzati: è il verbo della resurrezione, della vita nuova. Anche per questa figlia nulla sarà più come prima.

Subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. e disse di darle da mangiare. Immaginiamo la gioia infinita di papà e mamma! La figlia morente si alza e cammina, in perfetta forma. Torna il numero 12: anche questa bimba era giunta alla fine di un’epoca, addirittura alla fine della vita, e anche lei è stata scelta, voluta, desiderata. La folla non c’è più, se n’è andata, ha perso ogni potere. Rimane Gesù che riporta papà e mamma, estasiati, su questa terra: datele da mangiare! Questi gesti così concreti e tangibili, questa attenzione e dedizione, questa cura per il bene di ciascuno sono il più grande insegnamento del Figlio di Dio, che si è fatto uno di noi non a parole, ma nella sua carne.