Pagina di vangelo: Lc 17.11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.

In cammino verso Gerusalemme Gesù passa sui confini di Galilea e Samaria. Potrei iniziare tracciando un quadro storico, politico, geografico e sociale delle regioni citate, ma non ne ho le conoscenze (ti va anche bene: non ti tedio). Invece si è accesa una lampadina: il testo greco utilizza “passare”, un verbo che conduce rapidamente al Passaggio del Figlio di Dio, dal dolore alla morte, dal sepolcro alla resurrezione, quella che i più chiamano Pasqua, senza sapere che dolore e morte sono Passaggio, anch’essi, verso la resurrezione.

Gesù ha fatto Pasqua più volte nella sua esistenza: l’incarnazione stessa è stato il passaggio dal cielo di Dio alla terra degli uomini: “non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). Questo primo passaggio ha reso Dio uno di noi, uno come noi; l’incarnazione è un tema troppo poco meditato, poiché è proprio lì che si trova la chiave del mio successo come essere umano, come cristiano. Sarebbe interessante leggere il vangelo e prendere nota dei passaggi di Gesù: ne avremmo una cartina dettagliata di come il Figlio di Dio si muove sulle strade di questo mondo, senza perdere il sapore del cielo.

Gesù, in questa pagina di vangelo, passa sui confini: a Gesù non lo tieni fermo, Lui non sa cosa sia la zona di comfort, non l’ha mai avuta, non l’ha mai desiderata. Uomo del confine, Gesù si spinge fin là dove c’è una persona. Può essere presso un pozzo dove incontrare la donna samaritana, o ai piedi di un albero come per Zaccheo; ogni luogo diventa il luogo dell’incontro, e ogni momento il momento favorevole.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

Un gruppetto di persone malate e contagiose mettono in atto una strategia: vanno incontro a Gesù, si fermano a distanza, e gridano a voce alta. Il loro desiderio è incontrare Gesù, ma sanno bene di essere malati, e allora si fermano. Tuttavia non si arrendono, e dove non possono arrivare, giunge la loro voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Potrebbe essere la storia di chiunque si mette sulle tracce di Dio: desiderio insopprimibile di verità e di pace, paura che ferma e blocca i nostri passi. Gesù rimane una meta lontana e il desiderio si spegne, complice il mondo che fa di tutto per ubriacarci di parole e di immagini vuote. Questi lebbrosi invece non si arrendono, e alzano la voce, gridano, riconoscono in Gesù un maestro, chiedono aiuto. Troppe volte invece il nostro desiderio viene mangiato dalla paura, e il grido di aiuto viene soffocato dal rispetto umano, da mille supposizioni. I dieci lebbrosi gridano, e questo grido permette l’incontro, anche se a distanza.

Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Gesù li vede e li manda a mostrarsi dai sacerdoti (il sacerdote aveva l’incarico di stabilire la malattia e la guarigione). Vedere e mostrare. Questi due verbi oftalmici ci dicono l’importanza della relazione: quando parlo con qualcuno lo guardo negli occhi, stabilisco un contatto visivo, Si mostra qualcosa o qualcuno a chi non guarda, si richiede l’attenzione. Gesù è invece ben attento: “appena li vide”, e vedendoli li accoglie, li ascolta, li comprende.

Quei lebbrosi, che hanno desiderato, camminato, gridato, obbedito vengono guariti, ed è certamente un dono, ma come non notare e ammirare il loro impegno, che li ha esposti, li ha fatti uscire dall’autocommiserazione? Il cammino dei lebbrosi è il cammino di chiunque cerca un senso alla propria esistenza: solo l’incontro con Cristo risolve le paure, guarisce i cuori, dona pace, riconcilia con se stessi e con gli altri.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Uno dei dieci si vede guarito, torna indietro, loda Dio, si prostra, ringrazia. Tutte queste azioni sono conseguenza della consapevolezza che qualcosa è accaduto. Torna sui suoi passi, quelli fatti da malato, i passi che il desiderio ha sostenuto, i passi interrotti dalla paura, i passi dell’obbedienza: tornare indietro non è sempre sintomo di un regresso, se ci pensi chi prende la rincorsa torna indietro per raccogliere energie e dare vigore alla sua corsa. Nel cammino della vita spesso è necessario tornare indietro, non per piangere sul latte versato, non per ricordare i bei tempi andati, ma per fare memoria, cioè vivere nella fede e in compagnia di Dio anche quei luoghi, quei giorni in cui Dio non c’era, in cui io non ero con Lui.

Torna indietro lodando Dio per tutto ciò che è stato, perché quei giorni di dolore sono stati strada e bussola per incontrare Dio. Quel tempo e quello spazio privi di senso ora sono il tempo e lo spazio così necessari a ognuno per vivere e sopravvivere, e Dio non è più il grande assente: Lui ti ha visto da lontano, ha udito il tuo grido, ti ha ascoltato, si è fatto vicino, ti ha guarito. Il cammino a ritroso si conclude con un atto meraviglioso: la prostrazione, gesto di chi si abbandona completamente, di chi riconosce la presenza di Dio. Si prostra per ringraziarlo: in greco grazie si dice “Eucaristò”: non ti ricorda niente? Fare memoria, prostrarsi, ringraziare: sono tutti gli elementi presenti nella celebrazione eucaristica, dove Gesù Signore si fa presente, passa sui nostri confini e ci offre la comunione con Lui, il dono più grande!

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Nove non sono tornati indietro, non hanno ringraziato, non si sono prostrati, non hanno fatto comunione: quanti non! Sono guariti solo fisicamente, certo è già una gran cosa, ma non hanno incontrato lo sguardo di Gesù, non sono tornati nel loro passato (perché tornare indietro se la mia vita non è cambiata?). Solo uno ha fatto tutto questo, e oltre che guarito è stato salvato. Gesù lo ha guarito ma la sua fede lo ha salvato… da chi, da che cosa? Dal ripiegamento autoreferenziale, dalla cecità di chi non vede altro che se stesso e il proprio interesse.

Un grazie trasforma un’intera esistenza, porta guarigione e salvezza. Un grazie è l’incontro che rende Dio vicino, con te, in te, adesso, per sempre.