Rimanete in me e io in voi  Gv 15,1-8

Rimanere è la conseguenza di una scelta. Non è accettare supinamente qualsiasi cosa, ma volerci essere con tutto se stessi, a qualsiasi costo. A tale proposito mi viene in mente il rimanere di Maria e Giovanni ai piedi di Gesù crocifisso: sono voluti rimanere, sotto quella pioggia di sangue di dolore e di morte, hanno accolto le ultime parole, i rantoli del Signore.
Rimanere è una relazione intima e profonda fra i due, quella che i teologi chiamano inabitazione: si rimane proprio perché abitati e vissuti da qualcuno, sennò… chi me lo fa fare?
L’amore. Solo l’amore fa stare Maria ritta in piedi di fronte alla morte del Figlio. Solo l’amore sa declinare questo rimanere, sia nei giorni di sole che nei giorni di maltempo, quando tutto è buio, dentro e fuori. Solo l’amore coglie il primo alito di risurrezione, e pur con gli occhi arrossati dalle molte lacrime sa suscitare il canto dell’alleluia di risurrezione.

Io sono la vite, voi i tralci. Questa immagine rende concreta e tangibile l’idea che il rimanere non è tanto una scelta obbligata (a nessuno piace sentirsi obbligato, legato), quanto più una risposta d’amore alla vita che fluisce in quella linfa; rimanere è una condizione vitale per il tralcio che non è parassita, ma che trae dalla vite tutto il suo nutrimento, condivide con la pianta madre tutto se stesso, rendendosi servo gioioso per portare frutti squisiti. Sa farsi potare il tralcio (avete mai visto come piange un tralcio potato?), sa farsi condurre dal vignaiolo, che con mani esperte e forti lo coltiva, pregustando la convivialità del vino, da condividere sulla tavola degli affetti più cari. L’anello di congiunzione tra la vite e il frutto è quel tralcio che si affida e si fida totalmente. Quei grappoli che sorreggerà nella stagione della vendemmia saranno la sua ricompensa, la sua consolazione più grande. Lui rimane, e porta frutto.

Senza di me non potete far nulla. Senza la vite cosa può fare un tralcio? Nulla, è inutile raccontarcela: non può fare nulla. Questo nulla ci attanaglia troppo spesso la vita, lo fuggiamo, ci illudiamo di riempirlo con mille oggetti, col denaro, con dipendenze e affetti sbandati… Se solo guardassimo negli occhi questo nulla, ci lasciassimo potare e maltrattare da questo vuoto, allora avremmo la speranza certa di essere nuovamente innestati alla vite: riceveremo nuovamente la sua linfa, la gusteremo infinitamente e piano piano il tralcio germoglierebbe nuova vita. Ma perché usare il condizionale? Basta volerlo: basta rimanere. Non una filosofia, un’idea, una religione, ma Gesù, la vera vite si protende  verso di noi per donarci il suo abbraccio, tutta la sua vita. Rimaniamo in Lui e Lui in noi, reciprocamente abitati, custoditi  e amati.