Parabola del seminatore

Mt 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Quel giorno può essere un giorno qualsiasi, di duemila anni fa, ma ancora meglio quel giorno è oggi. Oggi Gesù esce di casa: pensiamo all’incarnazione, quando Gesù lascia la casa del Padre e si fa uomo, uguale in tutto ad ogni altro uomo. Gesù continua oggi a uscire di casa per incontrarti, per essere il tuo servo, disponibile a portare i tuoi pesi, a spartire con te fatiche e gioie. Gesù è sempre sull’uscio, per manifestare il suo volto e tendere le sue braccia.

Sedette in riva al mare; si mise a sedere su una barca: si siede chi è arrivato, chi vuole stare, chi vuole insegnare qualcosa (era questa la posizione dei maestri dell’epoca). Si siede sulla terraferma ma anche sul mare: Gesù è l’uomo che oltrepassa i confini, pur rispettandoli, è colui che va oltre le regole, pur adempiendole. Lascia la sicurezza della terraferma per barcollare in una barca, e in quell’equilibrio precario si rivolge a te, alla folla che è sulla spiaggia, un luogo di passaggio, di confine, e quella folla ha bisogno di qualcuno che perda l’equilibrio per essa, qualcuno che la conduca nei punti di cambiamento. Gesù è la presenza di Dio negli snodi della tua vita: ti accompagna, pur onorando la tua libertà e salvando, sempre, la tua dignità di persona.

Ecco, il seminatore uscì a seminare.

Potrebbe sembrare ovvio, eppure non a caso Gesù evidenzia che il primo e fondamentale atteggiamento del seminatore è quello di uscire (non puoi seminare i pomodori in soggiorno). Il seminatore esce, proprio come Gesù è uscito di casa per incontrarti, il seminatore esce di casa per fare incontrare la terra e il seme: solo da questo incontro ci potrà essere un frutto, solo da questo incontro si potrà gioire del raccolto. Prima ancora della terra e del seme, ciò che rende possibile il raccolto è uscire.

Uscire è variamente interpretabile: uscire fisicamente di casa, oppure uscire da una situazione, uscire da una schiavitù. uscire da schemi mentali, uscire da vecchie abitudini. Uscire significa lasciare la strada vecchia per quella nuova: e pur non sapendo ciò che si trova, questo è l’unico modo per uscire, per incontrare, per vivere. Identifica il tuo uscire, magari scrivilo su un foglietto, poi disegnaci una porta, ed esci!

Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.

Per quanto il seminatore faccia attenzione, qualche seme cade fuori dal terreno che lo attende, e ahimè, le cose non vanno a finire bene. La responsabilità in questo caso non è del seme, che è buono, non è del seminatore, che intende fare un ottimo raccolto, e non è nemmeno degli ambienti non adatti per accogliere un seme. Quindi escludiamo la colpa: non è colpa di nessuno: oh, che bello!

La strada. La nostra vita è fatta di strade, per recarci al lavoro, per andare a fare la spesa, per andare in gita o in vacanza, per incontrare persone care, per fare due passi: strade, strade, strade. Molto del nostro tempo è sulla strada, un luogo di tutti, luogo di passaggio, di grande traffico e velocità elevate. Non c’è luogo meno adatto per un seme, che ha bisogno di terra e non di asfalto, di silenzio, umidità e tempo, tanto tempo per marcire, morire e germogliare.

La strada è il luogo della non comprensione, della non accoglienza: gli uccellini che mangiano il seme sono solo una conseguenza. Ecco perché Gesù si è definito la Via: abbiamo bisogno di un Custode che ci faccia uscire e contemporaneamente tuteli il nostro andare. Rifiutare il Custode significa esporsi al fallimento: non è colpa tua se il seme è caduto sulla strada, non è colpa tua se gli uccellini lo mangiano. La tua responsabilità risiede nel non farti derubare, cioè nel lasciarti custodire e accompagnare. Ti viene chiesto un po’ di umiltà, ossia consapevolezza di chi sei.

Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.

Il terreno sassoso. Potrebbe essere identificato come la tua storia, le macerie della tua vita: qualche seme cade anche là, dove tu hai tanto sofferto e gioito, dove hai investito mille risorse, dove hai messo la parola FINE e da dove sei ripartito per vivere il presente. Non c’è molta terra: la povertà e il limite hanno segnato i tuoi giorni, ti sei spesso scontrato con situazioni simili, e il raccolto è stato scarso, se non nullo. Il facile entusiasmo iniziale ha lasciato spazio a cocci di delusione e di pianto.

Eppure qualche semino è caduto là in mezzo, e germoglia in fretta. Allora pensi di tornare là, pensi che ci sia speranza nel tornare indietro, nel riproporre vecchi schemi, in fin dei conti qualcosa sta nascendo! E ancora una volta ti scontri con i sassi taglienti della delusione: quei semi non ce la fanno e i piccoli germogli seccano. La tua storia e il tuo passato sono lì a dirti che hai un presente e un futuro solo nel terreno della fiducia, che non è alle tue spalle ma davanti a te: è lì il terreno accogliente e fertile dove vivere la pienezza dell’oggi!

Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.

I rovi. Possono essere l’icona della non accoglienza: crescono e infestano luoghi scomodissimi, pungono e fanno male, e alla fine non producono nulla, o nella migliore delle ipotesi, qualche mora. I rovi soffocano, impediscono la vita, difendono qualcosa senza valore e deturpano l’ambiente, fino a impedire un percorso. Gesù ci dice che i rovi sono “le preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza”. Essere preoccupati è normale, ma qui Gesù intende altro: a Marta disse, usando lo stesso termine: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose” (Lc 10,41). L’affanno, l’ansia, la frenesia sono i tuoi rovi, quelli che ti soffocano, quelli che esasperano la tua giornata. Anche l’inganno della ricchezza compie lo stesso lavoro: ti esaspera, ti rincorre spronandoti a possedere, ma in realtà perdi tutto, perdi te stesso, perdi Dio e il senso stesso della vita.

Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto.

Finalmente, ci siamo! Il terreno buono (ma anche il terreno bello), è il luogo giusto dove il seme può finalmente riposare in pace (scusate l’allusione, ma in questo caso è perfetta), e portare frutto. Il terreno buono cosa fa? Riceve il seme, (lo hanno ricevuto anche la strada, i sassi e i rovi), ma non solo: lo accoglie, lo custodisce. La terra abbraccia quel seme e gli permette di vivere in pienezza, rispettando la sua natura e i suoi tempi, offrendogli i sali minerali necessari e la giusta umidità. Il seme da parte sua si lascia accogliere e diventa anche lui simile alla terra. Solo così potrà continuare a vivere e a moltiplicarsi.

Ascolto e comprensione sono gli strumenti a tua disposizione per continuare a vivere. Il terreno buono è la tua vita, un terreno buono, fertile, spazioso, con mille possibilità, un terreno bello, che consola chi lo osserva, (tra tutti Dio è il miglior osservatore, e si delizia del tuo terreno). Lasciati custodire, esci e semina: raccoglierai buoni frutti, e potrai donarli a piene mani: Dio è dalla tua parte, sempre.