Vangelo di riferimento: Lc 23,35-43

Hai presente quando parli con qualcuno e pur dicendo cose profonde e vissuti importanti non ti senti ascoltato? Il tuo interlocutore fa altro, oppure ti pone domande inadeguate… O peggio ancora, gioca col telefonino, chatta con altri. È sicuramente un’esperienza frustrante e spiacevole. Altre volte sei tu a essere distratto o stanco, e ciò che ti viene comunicato è un ammasso di parole e di suoni che non riesci o non vuoi decifrare. In entrambi i casi non c’è un incontro né tanto meno uno scambio e un dialogo. Se fossimo a teatro potrebbe trattarsi di un monologo, ma no, non siamo a teatro.

Grazie a Dio ci sono anche i dialoghi,

gli incontri belli, gli scambi che rigenerano, e le persone dalle quali ti senti capito e accolto. In questo caso da entrambe le parti si vive l’ascolto, la comprensione, si viene accolti nel vissuto dell’altro, e insieme si fa un tratto di cammino: quasi sempre non si giunge a nessuna soluzione immediata, ma il fardello delle emozioni e delle situazioni viene quantomeno dimezzato, condiviso.

Gesù sta vivendo la sua morte, inchiodato a una croce.

Deriso, insultato, preso in giro, riceve sputi e bastonate, gli offrono l’aceto più aspro della non accoglienza, per inasprire ancora di più il suo dolore. In questa situazione estrema qualcuno parla. I soldati e i capi lo insultano, lo deridono, propongono a lui la soluzione più facile e indolore: scappa, liberati, scendi dalla croce. Non giunge alcuna risposta da parte di Gesù, perché solo il silenzio di Dio può colmare il vuoto di queste parole vuote, solo il silenzio del Signore può portare un po’ di ordine e di senso, facendo decadere la polvere della confusione e del disprezzo.

Un compagno di croce,

un malfattore lo definisce il vangelo, si unisce al coro delle voci vuote, e Dio continua il suo silenzio, come medicina che porta a guarigione. A volte si pensa che solo chi vive una situazione simile alla propria possa capirci, ma spesso non è così: la croce è la stessa, i dolori molto simili, eppure chi parla dall’alto del patibolo in realtà non si è elevato: come i capi e i soldati accusa Gesù, lo insulta, lo deride. Solo il suo corpo è in alto, il suo spirito è rimasto nel pollaio di quelle voci inutili e vuote.

Ora però un altro compagno di condanna si ribella: ha sentito i capi, i soldati, ora sente anche la voce del suo “collega” in croce e non ce la fa più a tacere. Solo ora nasce un dialogo, nei toni di un rimprovero, ma anche di insegnamento: “egli non ha fatto nulla di male“. Questa è la più alta lezione di teologia, che riconosce a Dio tutto il bene. Il rimprovero diventa lezione e testimonianza. Il silenzio di Dio si sposa con le parole di una sua creatura, come i righi del pentagramma si uniscono alle note. Quando vivo il silenzio, quando lo abito profondamente, quando il silenzio riassume ogni mio desiderio, io sposo il silenzio di Dio. Quando parlerò sarò profeta, maestro e testimone, perché ciò che dico è nato nella pienezza del silenzio, non come un bisogno compulsivo di dire parole vuote.

Gesù, ricordati di me

Dopo aver vissuto il silenzio di Dio e il proprio, dopo aver rimproverato, insegnato e testimoniato, ora si rivolge a Gesù. Non gli chiede un miracolo, ma un ricordo: “Gesù, ricordati di me“. Il ricordo è la normale conseguenza di un affetto vissuto, è rivivere un’emozione, è portare con sé, nel pensiero, nel cuore, nella vita. Il ricordo richiesto a Gesù è il più grande prodigio, che non risolve nulla, che non libera dalla croce. È un miracolo inutile, un apparente spreco poetico che lascia tutto come ha trovato. Anche tu sei affamato di ricordi, anche tu desideri essere ricordato da qualcuno, non per le tue grandi opere, ma per amore. Essere ricordati è vivere nel cuore altrui come nel proprio, è sentirsi a casa, nel tepore dell’amore. Grazie a questa richiesta il malfattore diviene consolazione di Dio, un secondo cireneo che pur non alleviando il dolore fisico, ma donando al Signore crocifisso ciò che Lui stesso riceverà: il pensiero del cielo.

Oggi con me sarai nel paradiso.

Dio non tace più. Davanti a chi chiede un ricordo, il cuore del Signore ha un sussulto, e pur nello strazio del soffocamento trova la forza per assicurare che la sua domanda si incontra con lo stesso desiderio di Dio: stringere al cuore, circondare di attenzioni, vivere in sintonia, non distanti, non apatici e disinteressati, ma vicini, in una relazione che dice tutto della vita e della morte e che la morte supera e travolge, perché la Vita vince sempre. Con me: prima del Paradiso c’è quel “con me” a dare senso, a specificare che in Paradiso ci entri solo se ami, se sai essere dono d’amore a Dio e a chiunque abbia bisogno del tuo istante di bene.

E poi quella scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Bisogna essere re per ascoltare e tacere, per andare oltre all’insulto, per volare alto, sopra il polverone delle parole vuote. Bisogna essere re per lasciarsi consolare e abbassarsi per cogliere un desiderio, bisogna essere re per ricordare, per amare, per morire. Gesù ti passa la corona e ti chiede di regnare con Lui. Cristo Re è l’amore che va oltre e oltre ti porta. Oggi con me sarai nel paradiso.