Voi stessi date loro da mangiare

Mt 14,13-21

Il vangelo di questa domenica inizia con un evento doloroso: è comunicato a Gesù della morte di Giovanni il Battista. Gesù si ritira in disparte, in un luogo deserto: evidentemente vuole stare solo, con il suo dolore. Il deserto nella Bibbia è il luogo della prova, della tentazione. Gesù vive la morte di una persona cara come ciascuno di noi, dolore e grande prova, anche Lui si chiede perché, ma rispetto a noi, forse, ha una reazione diversa: si ritira in disparte e, anche se in questo brano non è espressamente detto, prega il Padre. Alla prova (il deserto) unisce la preghiera, l’intimità con Dio (in disparte). È qui che spesso inciampiamo: incontriamo il dolore, siamo condotti nel deserto della prova, e lì, invece di cercare il contatto con Dio… imprechiamo contro il dolore e contro il deserto, amplificando così tutto il negativo che ci circonda!
Dopo questo momento di ricarica, il Signore Gesù vede tanta gente che lo cerca e sente compassione (patire – con): ecco il frutto della preghiera! Gesù termina il suo ritiro per andare verso il suo prossimo, per condividerne il dolore, per essere fratello di ognuno, compagno di viaggio e amico. Se la preghiera non dà questo frutto concreto, ma mi ripiego su me stesso, non ho pregato, mi sono illuso di pregare e magari di pregare molto.
“Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Il luogo è deserto ed è ormai tardi.” Anche i discepoli vivono il deserto, ma all’opposto di Gesù che si fa prossimo, pensano di risolvere il problema congedando la folla, un modo gentile per dire “si arrangino, non possiamo pensare noi a tutti!” Ecco la tentazione sottile (ma neanche tanto) di essere cristiani isolati, che vivono la loro fede solo per il bene del proprio piccolo orticello, ben attenti che nessuno ci metta piede. Gesù è chiaro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”. Questa risposta è la chiave del brano evangelico, è la chiave della nostra fede; Gesù crea unità tra me e l’altro, tra noi e loro… “Non occorre che vadano” è lo stesso che dire “è necessario che restino.” Non possiamo essere discepoli di Gesù e credenti in modo autonomo e solitario, ancora una volta ci illuderemmo di essere cristiani, di pregare e di fare del bene (a chi?). 
Dopo l’invito di Gesù c’è lo scontro con il proprio limite: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!”. In questa risposta risiede la volontà di non immischiarci, di rinchiuderci e ripiegarci: non vogliamo fare esperienza del nostro limite, della nostra miseria, e allora, pur stando male, desideriamo il luogo deserto, sempre più arido e brullo. Gesù offre una soluzione “Portatemeli qui”: quel poco che sei, portamelo! Spesso lo lasci ben chiuso in casa, nel tuo cuore, te ne vergogni, dissimuli… no, oggi il Signore ti dice: portami tutto te stesso, il tuo limite, il tuo dolore, portamelo! Metti tutto te stesso nelle mani di Dio, abbandonati al Suo Amore, fai esperienza di chi sei tu, e di chi è Dio.
“Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione”: stessa dinamica precedente. Dopo aver costatato la tua pochezza e averla donata al Signore, tutto è elevato a Dio nella preghiera, per poter poi lasciarsi commuovere e saper spezzare il pane con chi ha fame.
Il brano conclude soddisfatto “Tutti mangiarono a sazietà.” Il miracolo non è tanto nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma l’essere andati oltre il proprio limite, l’essere usciti dal luogo deserto per fare comunione: Dio crede che ce la puoi fare. Tu?
Buona domenica!