Pagina di vangelo: Gv 10,27-30

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Ascoltare conoscere seguire. Questi tre verbi in realtà sono la garanzia per la vita di una pecora e il tutto per la vita del pastore. Se volessimo sintetizzare ancora di più, potremmo parlare di fiducia. La fiducia della pecora che ascolta e segue il pastore e la fiducia del pastore che conosce le sue pecore e le vuole con sé. Tuttavia se questi tre verbi non fossero amalgamati dalla fiducia reciproca sarebbero tre atti inutili, anzi dannosi: ascoltare uno sconosciuto, conoscere chi non ti conosce e seguire uno senza motivo. Se forziamo l’impasto dei tre verbi, ne otterremmo violenza, coercizione, morte: direi che siamo proprio fuori strada.

L’analisi grammaticale aiuta sempre: le MIE pecore ascoltano la MIA voce e IO LE conosco ed ESSE MI seguono: tre riferimenti al pastore e tre alle pecore sono l’ingrediente che permette l’unione, l’integrazione, l’amore reciproco. Anche i leoni stanno insieme col domatore, grazie a una gabbia e a una frusta, ma è fiducia? Chiedi a quel leone se è felice e ti ruggirà tutto il suo dolore e la sua rabbia. Se ascolti bene i tre verbi della pecora e del pastore percepirai invece tanta serenità e pace, perché questo vivono i protagonisti: la serenità di essere nelle mani migliori, la pace di essere seguiti e quindi amati.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Il pastore ora sale di livello: la sua è una strada in salita, perché i pascoli migliori sono in alto, lui sa dove condurre il suo gregge, e si piega con dedizione a fatiche e sofferenze, per il bene di chi bela felice. Il pastore dice che non ha alcuna intenzione di separarsi dalle sue pecore: nessuno le strapperà dalla sua mano, nessuno. Né persone, né eventi, perché la fiducia tra pecora e pastore non è un contratto formale stipulato per una convenienza di ambo le parti, ma è tutta la vita del pastore e tutta la vita del gregge che si donano reciprocamente senza mai perdere di vista il perché, per quanto buia sia la notte, per quanto infuri la tempesta, per quanti lupi e fiere possano ringhiare e mostrare i denti, nessuno le strapperà dalla sua mano.

L’eternità, questa sconosciuta. Spesso la colleghiamo a un cimitero, ma non c’è niente di meno somigliante: la tomba ci dice che la vita fisica ha un termine, mentre l’eternità è per sua definizione infinita, senza un termine. E noi, esseri umani e quindi limitati, facciamo tanta fatica a immaginare qualcosa di simile, tanto che ipotizziamo un “eterno riposo”… C’è una bella notizia: in tutto questo fitto mistero (chi ha mille sicurezze su come sia l’aldilà non è affidabile), l’eternità è un dono del pastore, e dove c’è il dono c’è anche il donatore. Il pastore sta bene solo col suo gregge e il gregge ha il suo paradiso nel cuore del pastore.

Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
Io e il Padre siamo una cosa sola».

Il pastore è figlio, è questa la sua essenza più profonda e intima che condivide con i suoi. Come pastore conduce all’ovile, come Figlio ci unisce al Padre. E come l’eternità è il dono del pastore, l’umanità è il dono del Padre per il Figlio-pastore; umanità ed eternità si stringono indissolubilmente la mano, e non c’è un prima e un dopo, un aldiquá e un aldilà, un sacro e un profano. Tutto è consacrato dalla presenza del Padre, “più grande di tutti” con grandi e possenti mani. Proprio quelle mani ci hanno accarezzato e dato alla luce, ci hanno voluto e continuano a volerci, non per possederci, ma per renderci figli amati e donarci quella gioia che sempre ricerchiamo.

La conclusione di questa pagina è una vera manifestazione del volto di Dio: Gesù e il Padre sono una cosa sola, senza divisione alcuna: anche il Padre è pastore, ha cura di ogni suo figlio, trova strade giuste per ciascuno e a ciascuno offre il dono dell’umanità del Figlio, sintesi pienamente realizzata dell’Unione tra Dio e l’uomo. Anche tra Padre e Figlio il “segreto” di tutto è la fiducia reciproca, che rende tutto vivibile, anche la croce, anche la morte, anche la resurrezione.