Brano di riferimento: Lc 1,39-45

Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Notiamo subito l’atteggiamento di Maria: il perché e il dove sono chiarissimi in lei, per questo si alza e va in fretta, quasi correndo. Non sono i passi di chi vaga o passeggia, di chi guarda le vetrine e intanto risponde a un commento su Facebook: Maria sa che Elisabetta ha bisogno, e le sue azioni sono quelle di alzarsi (stesso verbo usato per la resurrezione) e va in fretta. Risorgere e andare verso chi ha bisogno di un aiuto, fosse anche solo un sorriso, un abbraccio, un aiuto concreto. Senza questa resurrezione non vai da nessuna parte, e se ti trascini sulle altrui vite, porti pesantezza, angoscia, morte. Per correre devi prima metterti in piedi, risorgere, rivivere, solo allora potrai essere resurrezione per chi incontri.

Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.

Maria risorge e corre, ma non si ferma: entra in casa, si immerge completamente in quella situazione, non rimane esternamente, ma abita la casa di Elisabetta, le sue necessità, le sue ansie. Solo così Maria potrà esserle fattivamente di aiuto. Appena entra in casa, ancora col fiatone, Maria saluta, abbraccia, sorride: in una parola, Maria riconosce la dignità delle persone che ha davanti, e il saluto è carico di affetto, essendo persone a lei care. La corsa di Maria non si ferma sull’uscio di casa, ma va ad incontrare Zaccaria ed Elisabetta, attempati genitori in attesa. Questo saluto genera una conseguenza: “il bambino sussultò nel suo grembo” e il verbo greco dice “saltellò, danzò”, non è il muoversi naturale di ogni bimbo in gestazione avanzata, è rispondere a quel saluto, è partecipare alla gioia delle due mamme, è danzare fin da quel momento la gioia dell’opera di Dio, la gioia della resurrezione!

Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

La gioia finalmente esplode in casa di Elisabetta e Zaccaria! I grembi fecondi delle due donne contengono la certezza che Dio è fedele, Dio rimane il Presente, e nelle parole di Elisabetta, colei che ha atteso da sempre un figlio, attesta proprio la benedizione, cioè la vita che Dio dona, a Lei e al Figlio; non solo la vita biologica, ma la vita divina, la vita che risorge dai morti, la vita che mai si arrende.

Elisabetta pone anche una domanda, e non è retorica: “Come mai sei qui, tu, la madre del mio Signore vieni da me? Elisabetta è stupita, non riceve Maria come una colf ma una badante. Pur anziana e in attesa di un figlio, anche Elisabetta si alza in piedi, risorge, e diventa essa stessa serva della gioia per Maria. Com’è bello e profumato il grazie di chi ti fa un favore e poi ti ringrazia: l’amore ha sempre l’ultima parola, non per sovrastare, ma per servire.

E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Elisabetta ormai è un fiume in piena, inarrestabile: la gioia è ormai la colonna sonora di questo singolare incontro. Elisabetta non vede solo se stessa, ma sa uscire e rendere la visita a Maria, immedesimandosi in ciò che il Signore sta compiendo nella cugina. Questa beatitudine di Maria è la stessa di Elisabetta: Maria ha creduto all’annuncio dell’incarnazione, Elisabetta ha creduto che sarebbe diventata madre, pur in età avanzata. Entrambe sono beate, felici, grazie alla mano di Dio che compie meraviglie nelle loro vite. La casa di Elisabetta non è rivestita di specchi: lei sa andare oltre se stessa e vedere l’altro, non come oggetto, come strumento, ma come soggetto, persona, e in questo uscire da se stessa vive la gioia del dono.

Alzarsi, risorgere, correre, benedire, gioire: i verbi di questo vangelo preparino il nostro cuore e le nostre vite al Natale del Signore.