Pagina di vangelo

Una parabola che conosciamo tutti, ma potrebbe essere proprio questo che ci chiude le orecchie: chi presume di sapere non ascolta. Non vogliamo essere derubati di una così grande ricchezza! Dopo aver letto con cuore e mente ben disposti, accogliamo ora i gesti e le parole di questo papà.

Un uomo aveva due figli.

Questo uomo è padre, perché ha due figli. Potrebbe sembrare ovvio, ma se fai attenzione è l’unico elemento che il maestro Gesù ci consegna di quest’uomo; non ci dice il suo nome, l’età, dove abitasse, che lavoro svolgesse, quanto fosse alto: un uomo, uno tra i miliardi di uomini, ha due figli. Padre è la sua unica caratteristica, quindi è un elemento fondamentale che dà orientamento a tutto ciò che seguirà in questo racconto, ma non solo: anche la vita di ciascuno prende le mosse da una paternità/maternità, che ci genera e ci dà alla luce. Un uomo aveva due figli: tutta la vita di questo padre sono i suoi due figli, non ha altro che loro, non è altro che padre!

Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.

Padre, dammi. Il figlio più giovane lo riconosce come padre, un padre proprietario, amministratore economico, e anche un padre giudice (la parte che mi spetta). Se il padre in questione non avesse avuto proprietà e denari, questo figlio forse non gli avrebbe neppure rivolto la parola: non ha niente da dare, non è utile.

E il padre? Non si limita a dare quanto richiesto, ma divide tutto ciò che ha e che è con entrambi i figli, anche con il maggiore, il quale non aveva chiesto nulla. Quest’uomo vive una paternità che va ben oltre ai beni, ma è talmente padre che si svuota completamente, si dona totalmente a entrambi i figli: il cuore di questo padre non è più suo, e ogni cosa che fa è a beneficio dei suoi figli, fosse anche contare denaro o amministrare proprietà: è padre in ogni sua fibra.

Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 

Se il padre condivide, il figlio minore raccoglie “le sue cose”: ciò che ha ricevuto dal padre è trangugiato dal suo egoismo, e sembra esca di casa senza salutare. A lui interessano le sue cose, non il padre e il fratello, tanto più che lascia l’abitazione dove lui non si sente a casa e va lontano, e là continua ad essere chi lui è: un figlio ingrato e anaffettivo: dissipa e sperpera il dono del padre, non rispetta chi gli ha donato quei beni, e non rispetta neppure se stesso: rifiutando l’amore del padre, rifiuta anche se stesso.

Torniamo sulle tracce del padre: è lui il protagonista di questa parabola, è lui che tesse le relazioni e dirige gli eventi. Il figlio, lontano dal padre, lontano anche da se stesso, dissipa tutto e si ritrova in miseria: l’unica soluzione è tornare da papà, non per amore eh, ma per il portafoglio:il figlio non si è ancora ritrovato,
e “ritornò in sé” non fa riferimento a un cambio di vita, a un pentimento: la miseria e la carestia non hanno scalfito la pietra del suo cuore…

Suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Cinque atteggiamenti in pochi secondi, cinque gesti che il vangelo ci fa gustare con lentezza per assorbirne tutto il valore. In questi gesti del padre non c’è un attimo di indecisione, tutto è conseguenziale e voluto: il padre lo vede, il suo cuore è commosso, corre, non si trattiene il padre, lo abbraccia e lo bacia. Amore allo stato puro, paternità che si china sulla miseria, una miseria non solo economica, ma esistenziale. Il padre ha davanti a se il proprio figlio, senza aggettivi, senza pagelle: lui è padre e basta, e come padre ama, fino in fondo.

“Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

A questo padre non sono sufficienti quei cinque gesti per offrire il suo incontenibile amore, ecco che allora ricorre ai servi, estensione delle sue braccia ed esecutori della sua volontà. Attraverso di loro riveste il figlio della dignità che aveva dilapidato, gli ridona tutto se stesso attraverso l’anello, simbolo dell’autorità e del potere del padre donati ancora una volta al figlio, e poi i sandali, perché gli schiavi erano scalzi, non i figli. Con questi gesti il Padre ribadisce tre volte: tu sei mio figlio, tu sei mio figlio, tu sei mio figlio! Questi gesti sgretolano quel cuore indurito, queste parole mettono il figlio tra le braccia del padre, non più gestore economico, ma padre, padre, padre!

La festa: dopo i gesti del padre e quelli dei servi, il padre ha ancora bisogno di veicolare amore verso questo figlio. La festa interessa tutti i presenti: persone, animali e cose, tutto viene utilizzato come espressione di questo amore. Non le punizioni, non i rimproveri, i castighi, le voci grosse, gli sguardi alterati: solo un oceano di amore può cambiare il cuore e rendere un figlio a un padre e viceversa.

Suo padre allora uscì a supplicarlo.

È la volta del figlio maggiore, che, fedele e ligio ai suoi doveri di figlio osservante, non sopporta questa festa, non capisce questo amore senza misura del padre e non vuole entrare in casa. Anche lui pur vicino è lontano, pone un confine tra lui e il padre, tra lui e il fratello (“questo tuo figlio“: non lo considera suo fratello); anche lui non si sente a casa, e se il minore dilapida e spreca, il maggiore si chiude in se stesso, inacidendo se stesso e le relazioni.

Se i figli sono lontani, l’unico modo che ha il padre di incontrarli è di allontanarsi anche lui, e il padre esce, per una seconda volta: un padre infaticabile, il cui lavoro è l’incontro, la comunicazione, la relazione. Crea ponti e traccia strade, offre sandali per camminare ed essere fieramente figli suoi. Il padre esce per pregare e consolare, questo dice “parakaleo”, il verbo greco usato: prega il figlio maggiore, lo supplica, ma anche lo conforta in questa sua chiusura. Ancora: questo verbo è il verbo di chi sta accanto, (questo è il verbo dello Spirito Paraclito), di chi si fa lontano per essere vicino, di chi si butta a terra per innalzare! Anche in questa situazione i gesti e le parole del padre plasmano il cuore del figlio.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Il padre lascia la scena ai figli: li riconcilia tra loro (“questo tuo fratello”), consolida in ciascuno di loro la sua paternità (“tu sei sempre con me”), e celebra la gioia di ritrovarsi non come tre individui chiusi in se stessi, ma un uomo, con due figli, e tornando alle prime battute della parabola il cerchio si chiude.

Moltiplica questa parabola per ogni essere umano dalla creazione del mondo fino al suo compimento e avrai chiaro chi è Dio: è Padre, è Figlio, è Spirito Paraclito, che sta accanto. E ti prega in ginocchio di lasciarti amare, come Lui solo sa fare.