Ed essi, partiti, proclamarono
Mc 6,7-13


Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due. C
hiamare e mandare: sono due verbi solo apparentemente contrapposti, se ci pensiamo fanno riferimento a quanto di più bello avviene in natura: pensiamo al parto, alle pulsazioni del cuore, allo stesso respiro. Contrazione ed espansione, continuo alternarsi che genera vita. Se fosse solo contrazione, la vita morirebbe di egoismo e chiusura. Se fosse solo espansione, si esaurirebbe come una nuvola nel deserto, destinata a sparire. Questo movimento garantisce dinamismo e forza alla vita, alternando momenti di impegno a momenti di riposo.

Gesù chiama a sé dodici uomini non per indottrinarli, non per privarli della loro distinta personalità e renderli dei robot. Don Tonino Bello scrive: “se ti chiama, vuol dire che ti ama”: il motivo profondo di questa chiamata è l’amore, l’amore personalizzato e unico, che desidera il bene della persona, la sua realizzazione massima e la sua gioia. Li chiama ma non li trattiene, non si impossessa di loro (la possessione è sempre demoniaca); Dio è follemente innamorato della libertà umana, e la preserva sempre, non possiede ma dona. Una volta chiamati e amati, li manda: affida loro un compito, un messaggio da consegnare, tuttavia non sono semplici corrieri o postini. Questo messaggio è da vivere fino in fondo, da incarnare e fare proprio, e la consegna non avviene solo tramite le parole, ma attraverso la vita, l’esempio. Ecco perché non vengono mandati da soli ma due a due. Neppure Dio è solo, sono in tre, per significare che l’amore è la chiave di tutto. Anche questi dodici sono chiamati a vivere il bene scambievole, sono chiamati ad accogliere, a perdonare, ad amare, ad aiutare il proprio compagno di missione e di cammino. Il messaggio che portano è preparato da questo scambio reciproco di amore, di modo che essi divengono testimoni credibili e non esecutori di un ordine impartito dall’alto, e quindi svuotato di umanità.

E dava loro potere sugli spiriti impuri. Questi dodici uomini chiamati e inviati da Gesù vivono tra loro l’accoglienza e il bene, e già questo li pone in contrapposizione al male che potranno incontrare. Dal greco la traduzione corretta sarebbe “dava loro autorità”; il potere è una facoltà che viene dall’esterno, che non riguarda la persona (tu hai il potere di licenziarmi, per il solo fatto che sei il mio titolare), l’autorità invece richiede il coinvolgimento totale della persona; questa autorità viene comunque data, ma cadrebbe nel vuoto se non c’è qualcuno che la riceve, esattamente come un dono, che necessita di quattro mani, due che donano e due che ricevono.

E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone. Chiamati, mandati, autorevoli (non autoritari), hanno con sè solo un bastone, per camminare più agilmente, per sostenere il cammino nei momenti di stanchezza e di fatica. Gesù conosce bene l’uomo, e pur avendo dotato il missionario di una compagnia, gli offre anche un sostegno concreto ai limiti fisici. Questo bastone è tutta la cura di Dio per te, come una mamma che dà al figlio tutti gli strumenti per affrontare la vita; conoscendolo meglio di chiunque altro, sa bene i suoi pregi e i suoi limiti, le sue fatiche, e pur lontana, (anche se solo geograficamente), lo sostiene nel cammino. Tenerezza di Dio per le sue creature! Questi dettagli che cogliamo nelle righe del vangelo sono dei fari nelle notti senza luna che a volte ci prendono alla sprovvista: Dio è vicino, Dio è amore.

Né pane, né sacca, né denaro nella cintura. La sacca può essere vista come il nostro zaino, dove mettiamo gli indumenti ma anche qualcosa da mangiare lungo il viaggio, il caricabatterie (!) e altri oggetti per il nostro confort. Appunto: Gesù chiama dodici uomini, ha cura di loro, li ama personalmente, ma chiede loro di essere al 100% dono per gli altri, di fidarsi di Dio e della sua provvidenza. Certamente Gesù non dice loro di essere degli sprovveduti, o peggio ancora dei parassiti (tanto ci pensa Dio, ci pensano gli altri…): no, Gesù va oltre, e chiede ai suoi di vivere totalmente il vangelo (sine glossa direbbe san Francesco, cioè alla lettera).

Al centro della mia vita non ci devono essere i miei bisogni (reali o indotti), e neppure l’ansia o l’angoscia per il mio presente o il mio futuro. Al centro ci devono essere la mia vita e il vangelo di Cristo, due realtà troppo spesso distinte e disgiunte, che invece sono nate per essere amalgamate, giorno dopo giorno, come ci insegnano i santi (canonizzati o meno): la santità non è compiere miracoli e prodigi, ma unire la nostra vita al vangelo, come quando facciamo la pizza: l’acqua il lievito e la farina sono così uniti tra loro che non si possono più distinguere né disgiungere, e ogni ingrediente dona alla ricetta la propria caratteristica, rispettando se stesso e gli altri.

Di calzare sandali e di non portare due tuniche. Altra indicazione importante: i sandali permettono di camminare velocemente, rispetto a chi è scalzo. I mandati dal Signore pur non avendo fretta (sempre negativa), tuttavia non perdono tempo, vivendo anch’essi lo stesso desiderio del Signore: vivere e annunciare la bella e buona notizia! I sandali inoltre sono il segno della dignità umana: al figliol prodigo vengono ridati, per indicare la dignità ritrovata dopo aver abbracciato il padre e fatto esperienza profonda di misericordia. Insieme al bastone costituiscono il kit del missionario, bastone e sandali aiutano a camminare meglio, più speditamente, sostenendo la fatica.

Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Il vangelo dove arriva edifica la casa, lo stare insieme, il condividere. Il vangelo è il collante della comunità. Senza di esso ci illudiamo di edificare! I missionari durante il cammino hanno fatto esperienza di fraternità e accoglienza, ora, arrivati in una casa declinano gli stessi sentimenti verso chi li accoglie. Sono già pronti a ricevere e donare amore: non è forse questo il vangelo?

Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. Un’indicazione molto dura, ma è solo la conseguenza di un rifiuto. Se tu mi fai un bel regalo e io non lo accetto, tu che cosa puoi fare? Voltarmi le spalle e riprometterti che non mi farai più alcun regalo, non perché tu sei cattivo, ma perché io non so ricevere il dono (le quattro mani di poc’anzi). Non ti abbattere se rifiutano il tuo messaggio, continua, non ti fermare. Quella polvere che scuoti dai piedi sarà testimonianza e quindi un martirio per loro. Questa testimonianza può lavorare nelle loro vite e prepararli a ricevere nuovamente il dono. Con Dio nulla è mai perduto.

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Ecco l’applicazione pratica di quanto detto dal Signore Gesù ai dodici. In pochissime parole cinque azioni dei missionari. Partiti: si sono fidati e sono usciti dal loro territorio; proclamano la conversione, ossia facilitano l’amalgama tra vita e vangelo; scacciavano molti demòni, liberavano cioè i cuori da tutto ciò che è negativo, dissodando e ripulendo il terreno da sassi ed erbe infestanti, in modo da dare al seme del vangelo un terreno fecondo; ungevano con olio molti infermi e li guarivano: la prova del 9 del vangelo è la carità verso chi è più debole e bisognoso, è avere cuore per i miseri, è essere olio di guarigione e vino di gioia per chi è solo.

E tutto questo perché il vangelo non è una filosofia, un’idea, ma vita vissuta, tremendamente incarnata, fino in fondo, fino alle estreme conseguenze. Questo atteggiamento di servizio è lo stesso assunto dal Figlio di Dio. Ascoltando e vivendo la sua Parola, piano piano, giorno dopo giorno, assumeremo i suoi sentimenti, il nostro cuore pulserà in unione al suo, e dove noi andremo là ci sarà anche Lui, ad annunciare, perdonare, accogliere, amare.